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mercoledì 19 marzo 2014

XIX giornara nazionale vittime innocenti delle mafie

LATINA 22 MARZO 2014: XIX GIORNATA DELLA MEMORIA E DELL'IMPEGNO IN RICORDO DELLE VITTIME DELLE MAFIE



Si svolgerà a Latina il prossimo 22 marzo la diciannovesima edizione della "Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime delle mafie", promossa dall'associazione Libera e Avviso Pubblico. 
 
La Giornata della Memoria e dell'Impegno ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie. Oltre 900 nomi di vittime innocenti delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell' ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perché, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere.
'Ma da questo terribile elenco - sottolinea Libera - mancano tantissime altre vittime, impossibili da conoscere e da contare'.



Anche l'Associazione Culturale degli Scettici sarà presente a Latina con il Presidente Iervolino Michele, il Vice-Presidente Antonio Nappo, insieme ad altri soci, per ribadire il nostro NO alle mafie....




Cara mamma,
chi l'avrebbe detto? Ti scrivo nella mia condizione di vittima innocente uccisa dalla criminalità. Sono madre, padre, fratello, sorella, moglie, figlia, figlio e marito ma in questa giornata dedicata alla tua festa ti scrivo, perché ogni persona desidera "ritrovarsi" con la propria madre, dovunque lei si trovi.
Approfitto di questa lettera, per ricordare qualcosa che spesso viene ripetuto e chi sa quante volte lo hanno detto anche a te e cioè che noi siamo stati uccisi solo perché eravamo al posto sbagliato, nel momento sbagliato. Sai bene mamma, che per il solo fatto che siamo innocenti, nessuno può pensarci in una condizione spazio-temporale sbagliata. La nostra vita era giusta perché non ha conosciuto l'esercizio della violenza, dell'arroganza e dell'intolleranza. Abbiamo subito ciò che non abbiamo mai commesso. Quando si muore innocentemente per mano delle mafie, si è vittima e basta. Senza se e senza ma. Chi ci ha uccisi ha scelto la strada più ingiusta che esiste. Nel suo progetto, non vi è alcuna pietà, o forma di giustizia. Inoltre, la mediocrità di tanti si fa complice dell'uccisore, quando si semplifica e quando non si ha l'onestà di credere che esistano persone vere come lo siamo stati noi. I mediocri, gli indifferenti, a loro volta determinano in tante storie di vittime innocenti, un ulteriore peso da sopportare: la calunnia, l'abbandono di memoria, il sospetto ad ogni costo. Sulle nostre croci si potrebbe porre la seguente scritta: Uccisi, perché normali. Uccisi, perché hanno creduto nell'amore. Uccisi, perché noi non siamo stati abbastanza vivi.
Eppure cara mamma, sai perché amo scriverti una lettera? Perché essa ci somiglia. Infatti, se penso alla nostra esistenza, essa è stata come una bella lettera d'amore scritta con la penna di Dio intinta nel sangue di Suo Figlio, l'Innocente per eccellenza, che tu cara mamma, come Maria hai "letto" all'umanità per raccontare che la vita è un dono da custodire e un compito da realizzare attraverso l'amore. Ebbene, al termine di quella lettera c'era e c'è scritto che essa va restituita al "Mittente", con la stessa tenerezza ed amore come da Lui era stata pensata ed inviata all'umanità. Questo non è accaduto. Con tanto amore la nostra vita era stata donata. Con tanta violenza e bastardaggine siamo stati stracciati e buttati via.
Inoltre, ti scrivo mamma, perché da qui comprendo meglio di quanto si possa capire nell'esperienza terrena cioè, che mettere in vita non è tutto. Bisogna invece mettere in Luce. Per alcuni, come per i nostri carnefici, mettere in vita è considerato come un "caso", un incidente di percorso o peggio ancora una vera e propria condanna a vivere. Quelli che ci hanno uccisi, hanno vissuto da condannati e tale condanna l'hanno imposta anche a noi.
Mamma, per noi stare in vita non è più realizzabile, ma stare nella Luce e dare Luce ci è possibile e lo facciamo attraverso la forza della memoria e dell'impegno tuo e di chi come te porta ovunque le nostre storie. Mettere in Luce, vuol dire che la dignità delle persone non scompare nemmeno con la morte. Anzi...
Un'altra cosa vorrei consegnare a te mamma: la tua grandezza. Un grande filosofo del nostro tempo, Jean Paul Sartre, nonostante fosse non credente, ebbe a riflettere sulla Madre dell'Innocente di duemila anni fa: Maria di Nazaret, mamma di Gesù. Egli scrisse: <>. Ci pensi mamma, anche tu come Maria hai "allattato" la tua creatura e il tuo latte è diventato sangue, il nostro sangue sparso sulle strade dell'odio e della violenza, che insieme a te, oggi ricordato, celebrato e onorato diventa motivo di vita, di coraggio e soprattutto di cambiamento.
Ed ora mamma un saluto attraverso un ricordo. Desidero rivederti intenta a guardarmi mentre sono tra le tue braccia, una serie di sguardi che forse i nostri carnefici non hanno sperimentato... ecco perché... forse? Mah!
Torniamo al ricordo di me sulle tue ginocchia e tra le tue braccia. È stata la prima cattedra dalla quale ho appreso com'è giusto e bello allacciare la contemplazione del volto dell'altro. Infatti, il tuo volto stupenda mamma, lo ricordo e lo amo grazie al fatto che è stato verso me sempre ri-volto. Diversamente sarebbe stato solo una maschera.
Questa "contemplazione" che mi hai donato ed insegnato, si chiama accoglienza, amicizia, solidarietà. Forse mamma, un'arma da privilegiare per disarmare quell'odio antico che è presente in ogni epoca e generazione, consiste nel riconsegnare alle nostre mani la loro vera vocazione: accarezzare. Chissà, che anche il volto del criminale non stia cercando una lontana carezza, che giunta tardi o addirittura mai, abbia mutato la sua faccia in quella maschera di morte che appare improvvisa dinnanzi al candore dell'innocente. La carezza, l'arma della pace e della riconciliazione. Intanto questa carezza, amata mamma, donacela tu. A noi. Cioè a tutti.
Ti saluto. La tua creatura innocente
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(di don Tonino Palmese)


giovedì 13 marzo 2014

martedì 11 marzo 2014

470 anni fà nasceva a Sorrento il Poeta Torquato Tasso... Benedetto Croce scrisse è l'ultima grande voce poetica dell'Italia

LA POESIA DEL TASSO

AUTORE: Benedetto Croce      TRATTO DA: Storia dell'età barocca in Italia


L'ultima grande voce poetica dell'Italia era stato il cantore della Gerusalemme, che si lega bensì alla nuova età per certi suoi aspetti secondari e per certe sue debolezze e vizi, ma che nessuno che abbia sentimento di poesia oserà più considerare, al modo del Boileau e del neoclassicismo francese, come un lavorante in orpello o, al modo di taluni romantici italiani, vaghi del genuino o preteso genuino colorito medievale, come un artificioso e falso narratore delle Crociate. Torquato Tasso rimane in perpetuo quale fu sentito dai contemporanei, e quale fu accolto dall'anima popolare, cuore che parla ai cuori, fantasia che parla alle fantasie; e il suo poema, dal ritmo vivace, vibrante, rapido, concitato, prorompente da un animo commosso, variamente commosso ma sempre commosso, ha chiara l'impronta dell'opera geniale, prodotta da una forza demoniaca che s'era impossessata del suo autore, spesso fuori della sua consapevolezza e contro i suoi propositi. Nacque, quel canto, da un sogno di gloria e di amore, di prodezza e di voluttà, di nobile e severa gioia e di delicata malinconia, sublime e tenero, ricco d'impeti e insieme di languidi abbandoni, virile e femminile insieme: ispirazione patetica, affatto diversa da quella ariostesca che è di un'umanità distaccata e sorridente, tanto vero che il proprio dell'Ariosto sono le sue serene musicali ottave e quello del Tasso sono i suoi appassionati caratteri, i suoi Tancredi e Rinaldi e Arganti e Solimani, le sue Erminie e Armide e Clorinde, tutti personaggi diventati popolari e tipici. Quando ci si mette a semplificare questa complessa umanità, e a separarne i vari aspetti e a preporne l'uno all'altro o a espungerne taluno; quando si riguarda la Gerusalemme esclusivamente come un poema epico-religioso e morale, o quando lo si riduce a un effettivo poema di voluttà, ci si toglie il modo d'intenderla. La religiosità di Torquato non è da mistico, da asceta, da spirito in travaglio e conquista di fede; e nondimeno è religione, devozione, fedeltà, leale osservanza, come di un cavaliere di Dio verso Dio. La sua elevatezza morale è sincera: sincero è il suo Goffredo, saggio, giusto, fermo, precluso alle cupidità e alle lusinghe dei mondani affetti, quasi un sacerdote che sia pratico nelle arti della guerra e del comando, e guidi e regga agli alti intenti l'esercito crociato; sincero è il suo ideale di cavaliere senza macchia e di perfetto uomo d'onore. La lotta, che si accende e combatte in più punti del poema tra voluttà e gloria, piacere e dovere, godimento e austera virtù, non è una lustra, ma una lotta sul serio, nella quale si dispiega tutta l'avvolgente seduzione amorosa - « le sembianze d'Armida e il dolce viso », - e pur si pensa e si vuole e si opera come si deve, con rinunzia, con sacrificio, con intenerimento, con pianto, soffrendo nel dominar se stesso, ma senza cercare sfuggite in ipocriti accomodamenti o in astratte simulazioni di moralità. Rinaldo, cui innamorò la mente giovinetta « la tromba che s'udia dall'Oriente », anche nel turbine della sua ribellione e della sua indisciplina, allontanandosi dal campo dei crociati, non medita di vendicarsi altrimenti che con lo splendore delle magnanime imprese, da cavaliere errante della fede, nel quale la possente individualità è frenata e sottomessa a un ideale; e, quando poi torna tra i suoi compagni e si riconcilia col suo duce, quel senso austero non l'abbandona, e nei suoi detti e negli atti si scerne che « assai farà, benché non molto ci dica ». In pari tempo, Armida, l'incantatrice, l'ingannatrice, di cui sono a parte a parte descritti con somma evidenza tutte le arti e tutti gl'infingimenti, gli studiatissimi infingimenti, condotti con piena padronanza di sé come da esperta e geniale commediante, non è mai guardata con durezza di riprovazione, con aborrimento misogino, ma con occhio di uomo che ha provato e prova nel suo cuore quel fascino e non può renderlo a sé esterno e indifferente, con alcunché di cavalleresco verso la muliebrità, con una sorta d'indulgenza verso colei che inganna ma è tanto bella, con una certa simpatia per quella creatura che scherza, sfidatrice e sicura, con l'amore, e sarà alfine vinta dall'amore, e si farà umile, e piangerà, e non potrà più ingannare. E c'è, di là dal fascino delle Armide, l'aspirazione, la nostalgia, la disperata passione per la donna alta ed orgogliosa, superba nella sua chiusa virtù e spregiatrice delle mollezze sentimentali, tutta rivolta a virili imprese; per la donna che non si possederà mai, non se ne possederà forse mai il corpo, certo non mai l'anima o tutta l'anima, e sempre sfuggirà e sempre renderà più acuto e spasimante quell'amore. Eccola apparire in lontananza, profilarsi sull'orizzonte, l'inattingibile : « tutto quanto ella è grande era scoperta ». Tancredi le può dar morte, la può redimere nella sua stessa fede, ma non può farla sua: Olindo la ottiene sposa, ma come tale che si piega alla compassione e alla giustizia, e non all'amore: « ella non schiva poiché seco non muor, che seco viva ». L'amore non è gioia per nessuno di quei personaggi: è tormento per Tancredi, è sospiro per Erminia; è già quasi lo stato di spirito romantico che par chiedere ragione di questa potenza arcana, creatrice e devastatrice, elevazione e peccato insieme, che rapisce e sconvolge gli umani, anche i più eletti, anche i più buoni e miti. E il cosmo o, come si dice, la natura, è partecipe alla sentimentale visione tassesca : come là dove Erminia si appressa, nella notte, al campo cristiano e vede da lungi le tende latine, belle a lei perché chiudono l'uomo amato, e sente l'aura che spira da esse, l'aura che la ricrea; o dove Rinaldo sale sul monte, all'albeggiare, mentre ancora qualche stella rosseggia, e si deterge in quella purezza e frescura. E misterioso è il mondo tutto, il mondo degli uomini, che sé stesso « strugge e pasce, e nelle guerre sue muore e rinasce »; e. come tragedia lo sente l'ardente, l'impetuoso, il generoso Solimano, che cede al fato, senza opporre resistenza, simile a colui che nel sogno non sa sciogliere i piedi e le mani e la lingua; e, come tragedia, il fanatico e fiero Argante, quando si volge, pensoso a guardare l'antica città, regina di Giudea, che cade vinta, invano da lui difesa. Che cosa importa che nel poema vi siano parti sorde, e più o meno prosaiche e strutturali, come certe rassegne e descrizioni di battaglie, e altre che fioriscono di concetti e antitesi, e altre ancora che sono svolgimenti non tanto poetici quanto rettorici? La impetuosa poesia che lo muove dà la prova della propria forza nel sostenere senza riceverne gran danno la letteratura persistente e il barocco incipiente.

lunedì 10 marzo 2014

Ricordando Placido Rizzotto

"Questa terra che ci ha cresciuto può essere la nostra libertà, il nostro futuro, la nostra speranza!" (Placido #Rizzotto sindacalista sempre al fianco dei #contadini, barbaramente ucciso dalla #mafia #cosanostra a Corleone il 10 marzo 1948)



Acqua Bene Comune

La GORIspa vada via dai nostri territori!!!

L'Associazione Culturale degli Scettici insieme al vicesindaco di Poggiomarino Avv. Giuseppe Annunziata era presente all'assemblea pubblica svoltasi ieri 9 marzo alle ore 10:00 a Castellammare di Stabia... di seguito un articolo de "il fatto Vesuviano"

http://www.ilfattovesuviano.it/2014/03/acqua-pubblica-comitati-e-politici-del-vesuviano-la-gori-vada-via-dal-nostro-territorio/

sabato 8 marzo 2014

8 MARZO - Giornata Internazionale della Donna


"La donna uscì dalla costola dell'uomo, non dai piedi per essere calpestata, non dalla testa per essere superiore ma dal lato, per essere uguale, sotto il braccio per essere protetta, accanto al cuore per essere amata." (William Shakespeare)